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Se guardiamo le facce che abbiamo nelle foto, ci accorgiamo che vorremmo mostrare qualcosa, un noi che stiamo inseguendo. Cerchiamo di convincere gli altri, dimenticando di essere i primi a non esserne ancora convinti. Fra queste parentesi deambula il vagabondaggio interiore, alla ricerca di qualcosa che non si debba per forza dare in pasto agli annali. Vaga nella percezione che nasciamo soli, viviamo soli anche se circondati dagli affetti, e moriamo soli, nonostante le preoccupazioni di chi ci tiene la mano. I sorrisi e i sassi nelle scarpe del vivere sono una esperienza solitaria, alla faccia dell'affollamento del pianeta. C'è tutta una filosofia che parla storicamente di meccanismi inceppati, di pulizia ed equilibrio del contenuto, mentre il contenitore complotta per esaurire in fretta ogni pulsione. Il dolore proviene dallo stridore dell'ignoranza. Nel frattempo ci danniamo per rendere piacevole la nostra permanenza sulla terra. Inseguiamo una conoscenza, più probabilmente un barlume, un'aura familiare che ci parli del nostro essere originale, quello che sospettiamo ci accompagni e che ritroveremo probabilmente un giorno, dopo un cammino che non concede scorciatoie, ma solo rari momenti di libera uscita. Poi, all'improvviso, suona la campanella per ricordare che l'intervallo è finito...
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