Sputi compresi

L'esercizio del
vagabondo è preesistente alla scoperta del pittoresco, e
comprende marciapiedi sporchi e sconnessi formiche, sputi,
escrementi, scarafaggi grandi come noci che sgambettano
rapidi alla cieca, cercando con le antenne alzate di non
venire pestati dalle tue ciabatte.

Le viuzze della
Feira de San Joaquim brulicano di verdura colorata, galline,
teste di capra, prodotti per la macumba e per la
preparazione dell'Acarajè, tipico spuntino di strada
preparato dalle donne bahiane vestite di bianco nei
baracchini agli angoli di strada. Panetto di faraina di
mandioca fritto nel dendè, l'olio di palma micidiale per
l'intestino, ripieno di pasta di vatapà fatta con fagioli,
purea di pesce e verdure, gamberetti rossi e salsa piccante.

Il quadro attuale è indicativo. Come resoconto
dell'impressionante sviluppo del Brasile dell'ultimo
decennio, dobbiamo dare resoconto della qualità della
pittura. Dal lavoro minorile tollerato, molto più visibile
fuori dai centri metropolitani, ma evidente nel Nordeste,
con bambini di dieci-undici anni che aiutano i genitori come
strilloni nei minibus, come venditori di biscotti in strada,
come promotori delle vendite nei banchetti di spiaggia. Come
potrebbe una famiglia o una micro impresa reggere a costi
imposti dalla società regolare?

Fino alla curiosa scoperta del massimo del preconcetto: in
numerosi centri di Salvador di Bahia non sono molto disposti
a far lavorare un garoto di pelle scura. Perché un nero
comunque fa vita a sé, si considera discendente di schiavi e
non di un popolo schiavizzato, ha già scelto di isolarsi
creandosi ambienti separati, amicizie separate, abitudini
separate. Un bahiano di classe umile è e si considera fuori
della società, meno integrato, meno disponibile ad accettare
i compromessi del ruolo e dell'autorità e spesso reagisce di
conseguenza.

Lo stato di
Bahia dà comunque l'idea di essere un quarto mondo, almeno
nei comportamenti, con quella dimestichezza della sigaretta
accesa all'interno di locali chiusi nonostante i divieti,
come a darsi un contegno, scivolando in un'abitudine che non
si è mai confrontata col progresso repressivo dei vizi e
delle libertà individuali, così come oramai sono nel nostro
patrimonio europeo.
 |

Ripasso le stesse strade, rivedo
gli stessi personaggi, le stesse storie di vita, le medesime
luci.
Ma ogni anno è un passaggio più
delineato, più profondo. Riesco a scorgere più dettagli, a
immaginare più storie, ad avvicinarmi ancora di più alla
strada che respira i suoi umori disagiati, i richiami, le
urla, le prese in giro, i toni di offesa, le minacce
presuntuose, le risposte canzonatorie, gli apostrofi di
sfida. Luci riflesse di esistenze che c’erano anche prima
del mio passaggio, ma ero più miope, e solo ritornando
ancora vedo con meno paura il genere umano che ci si
arrabatta.

Salvador non si è accorta del mio
arrivo, non ancora. Un amico taxista italiano che vive qui
da molti anni mi mette in guardia sulla scelta del
quartiere. Non è molto per bene il centro antico, secondo la sua analisi più
delicata, con tutte quelle vie oscure e infestate. Se volessi
godere una spiaggia turistica dovrei andare più in
alto. Non è il luogo che un qualsiasi escursionista
civilizzato, o una buona famiglia possa condividere.
La calamita
generata nel bel mondo viene però respinta dalle
immagini ripulite. La ruggine mi si attacca più facilmente.

Un’uscita di
scuola alle nove di sera, i ragazzi intorno a sei bar di
strada illuminati dai lampioni gialli nelle retrovie della
Sete de Setembro che pullula di mendicanti e transessuali.
Sui tavolini
di plastica gialla si mangia pollo fritto, bolinhos di camarao con gocce di molho picante, zuppa di
vongole col limone, una birra Brahma a sfiammare la lingua
in fiamme che la Skol non la digerisco. Al dilà della strada
due ragazzi a petto nudo sono chini su altri amici seduti
sulle sedie, forse condividono giochi di carte, più
probabilmente dei messaggi sul cellulare.
Un po’ più avanti il ponte si erge sul viadotto
sottostante. Qui sì la notte diviene più rugosa. Tre ragazzi
stanno in attesa, a un metro l’uno dall’altro. Il primo avrà
quindici anni, la maglia chiara e il bonè bianco, ma le
ciabatte e la bermuda sono sozzi. L’altro
è più vecchio, il terzo non ha età, potrebbe essere un
adulto dimagrito.
Immobili in attesa delle ombre, sotto i
riflessi di qualche auto. Droga, probabilmente, in attesa di
clienti. Mi avventuro per qualche decina di metri nella
strada semideserta. Oltre il ponte una decina di persone
attendono alla fermata dell’autobus per rincasare dopo una
decina di ore perdute in un lavoro inutile. Ritorno sui miei
passi, incrociando lo sguardo di un passante più vigile di
me. Non esistono bianchi, sono circondato dalla notte, le
persone sono riflessi della fretta.
In una strada laterale
una serie di moto parcheggiate davanti a un bar che promette
birre a metà prezzo. Oltre le finestre di legno scorgo
qualche corpo in movimento che sospinge le note di un pagode
ritmato, una coppia vestita da domenica si avventura sugli
scalini, un buttafuori li osserva. Rivisitare varianti
infinite della medesima povertà mi dà un senso di euforia
cerebrale.
La metropoli
polverosa si dipana fra gli scarti della fortuna; da un
escremento può nascere un fiore.
max - mar 2012
 |