la Crescita del
Brazil
le domande che si pongono gli economisti |
Senza la
"Bolsa Familia" il Brasile sarebbe cresciuto di più?

Cosa sta succedendo nei
paesi emergenti?
L'andamento eccessivamente
erratico dei prezzi delle sue materie prime, costringe il paese
verdeoro a un ripetuto abbassamento del tasso del denaro, unico
esempio fra i paesi del Brics.
La tentazione di aumentare
il protezionismo sulle merci, caso clamoroso dato il suo status
di paese fortemente votato all'esportazione, mina la credibilità
all'interno della comunità internazionale.
Il parziale
fallimento dell'incontro Rio+20 sull'abiente, snobbato dai
grandi, ha sottolineato la difficoltà del Brasile di guadagnare una
posizione stabile di rilevo nel nuovo panorama internazionale.
Il periodo di
prosperità vissuto dal Brasile negli ultimi dieci anni è stato
comunque senza precedenti. Ne sono la prova i 30 milioni di
brasiliani passati dalla povertà al ceto medio. L’economia ha
vissuto una crescita costante, passando attraverso la crisi del 2008
senza troppi scossoni, fino a raggiungere il sesto gradino sulla
scala mondiale. La B dei BRICS è elogiata dagli investitori
internazionali per le opportunità di sviluppo offerte, e assieme
all’India è forse l’unico esempio di stabile democrazia rinvenibile
nell’acronimo in questione. In rete c’è chi definisce Rio come
la culla anche dell’economia, oltre che del
divertimento.

Ma adesso il
Brasile sembra in fase di stallo, per non dire di rallentamento:
Il ministro delle
Finanze brasiliano Guido Mantega si è sforzato di
sottolineare l’unico elemento positivo nella batteria di dati
divulgati dall’Istituto nazionale di statistica, vale a dire
il rimbalzo del settore industriale, che ha fatto registrare una
crescita dell’1,7% rispetto ai tre mesi precedenti.
«Buone notizie»,
ha sottolineato. E in effetti si tratta del miglior risultato da un
anno a questa parte per un comparto in crisi dalla metà del 2011.
Segno che, ha affermato il ministro, la politica di incentivi
pubblici e sgravi fiscali messa in campo dal Governo sta dando i
suoi frutti.
Un’accelerazione dell’economia al 4-4,5% nella seconda parte
dell’anno, è ciò che Mantega di attende, grazie anche all’aiuto che
arriverà dal deprezzamento del real e dalla discesa del tasso
d’interesse. Mercoledì la Banca Centrale l’ha tagliato per la
settima volta, portandolo al minimo storico per il Brasile (8,5%). E
tuttavia le cose potrebbero essere più complicate di come le dipinge
Mantega.
A maggio,
l’indice Pmi del comparto manifatturiero, un parametro che è un
buon anticipatore dell’andamento del Pil, è rimasto stagnante a
quota49,3 in Brasile (quindi segnalando una contrazione
dell’attività), con una flessione dei sotto-indici relativi a nuovi
ordini, anche dall’estero, e della produzione.
La conferma che
il Governo è prontissimo a intervenire con nuovi pacchetti di
sostegno all’economia, soprattutto per incentivare gli investimenti,
in parallelo all’accomodante politica monetaria della Banca
centrale, è giunta recentemente proprio dal ministro Mantega.
Secondo il
presidente Dilma Rousseff, questa discesa ha
delle responsabilità ben precise: ciò è causa delle operazioni
di quantitative easing messe in atto dalle banche centrali dei Paesi
sviluppati. Gli Stati Uniti prima, e più di recente l’Europa, hanno
inondato il mercato finanziario di liquidità a basso costo per
evitare il credit crunch da parte delle banche.
Missione
riuscita nel caso degli Stati Uniti e in via di soluzione in
Europa ma, secondo Dilma, a spese di Paesi come il Brasile:
“Il quantitative easingè una forma artificiale di svalutazione delle
monete non regolata dal World Trade Organization. Il Brasile
prenderà misure istituzionali per evitare la cannibalizzazione del
suo mercato interno”
Le sue
parole si riferiscono al surriscaldamento del Real, la valuta
brasiliana. Il rapido apprezzamento degli ultimi anni ha fatto
salire i costi di produzione dell’industria locale, rendendo i
prodotti made in Brazil poco competitivi. “Nessuno potrà venire da
me e lamentarsi se il Brasile si difenderà”, ha detto Dilma.
A cui possiamo
aggiungere le misure protezionistiche recentemente decise
dall’Argentina, suscettibili di penalizzare l’export brasiliano.
Più
obiettivamente, Limes identifica la principale causa della
frenata in unwelfare troppo generoso, eredità del decennio targato
Lula ma che il demerito di orientare il sostegno all’economia troppo
verso la domanda, a scapito degli investimenti. E di investimenti,
il Brasile, avrebbe più che mai bisogno:

vista
della baia di Guanabara col Cristo sul Corcovado e il Pao de Açucar
Il principale
problema della crescita economica verdeoro (mai andata negli
ultimi anni oltre il 4%, meno della metà di Russia, Turchia e Cina)
è legato alla stessa origine del suo boom: l’andamento erratico (e
previsto in calo) dei prezzi delle molte materie prime di cui il
paese abbonda. Tanto più in un momento in cui l’economia
internazionale entra nuovamente in una fase perturbata e la stessa
Cina, principale partner economico del Brasile, sembra voler
rallentare la sua corsa.
A queste
negatività si aggiungono l’alto tasso degli interessi, che è
dietro l’ipervalutazione del real, la moneta brasiliana, e un
welfare molto articolato e ”robusto”. Quest’ultimo fattore è il
frutto di politiche pensate per far dimenticare le dolorose
traversie economiche e gli altissimi costi sociali sostenuti dai
brasiliani per buona parte del XX secolo. Ora però si sta
trasformando in una debolezza.
Il programma
“Bolsa Familia” che Lula varò nel 2003, era uno dei programmi di
welfare e protezione dei redditi più generoso tra i paesi emergenti,
e l’allora presidente lo fece consapevolmente a spese di una
crescita a ritmi ben più sostenuti. Il programma politico prevedeva
una “stabilità a qualsiasi costo”: quel costo ora si è manifestato
nelle spese per lo Stato sociale, che nel 2010 gravavano per il 40%
sull’intera economia. Un ordine di grandezza rilevante, se si pensa
che nella maggior parte dei paesi emergenti tale cifra di solito non
va oltre il 20%.
Il “modello
Lula”, secondo molti analisti, andrebbe messo in soffitta, pur
essendo un insieme dei più tipici interventi di stimolo (incrementi
salariali, potenziamento delle coperture di welfare, stimolo fiscale
e crediti a costi bassissimi) che negli anni scorsi era stato
fondamentale per risparmiare al paese la crisi del 2008.
Gli alti prezzi
al consumo, dal lato della domanda sembrano dimostrare che tutto
quello che si poteva fare sia stato fatto. Sarebbe tempo di pensare
agli investimenti.
Finché i tassi
d’interesse si manterranno intorno al 10%, difficilmente la
situazione potrà migliorare. Non è un caso se il “Doing Business
Report” della Banca mondiale classifica il Brasile in 126esima
posizione, tra i 183 paesi sotto osservazione.

Il
protezionismo crescente,a
cui alcune recenti decisioni politiche hanno fatto pensare,
sicuramente stridono con lo status di peso massimo dell’export del
Brasile. Un costo del denaro più in linea con la statura del paese,
un tasso di interesse più contenuto e più investimenti. Quale di
questi obiettivi per assicurare al Brasile una crescita più
accentuata – tutti necessari ma in contrasto tra loro in termini di
scelte politiche necessarie a raggiungerli – deciderà di trascurare
il governo?
La situazione
non più rosea dell’economia era già nota un anno fa. A fine
dello scorso agosto, la decisione della Banca Centrale basiliana
di tagliare i tassi d’interesse (prima di una lunga serie) aveva
sorpreso un po’ tutti. Allora nessuna delle economia emergenti (i BRICS,
appunto) sembrava avviata verso una fase di rallentamento, e i
numeri esibiti da quella verdeoro erano ancora lusinghieri.
La discesa
dell’inflazione – ancora al 4,9%, ma pur sempre ai livelli più
bassi dal 2010 – e gli altri indicatori macroeconomici hanno in
seguito dato prova che la frenata è già in atto, nonostante le
continue riduzioni dei tassi. Non è un caso se ora il Financial
Times si chiede se Alexandre Tombini, governatore della Banca
Centrale, sia stato bravo o semplicemente fortunato.

la
presidentessa Dilma Rousseff e il ministro della fazenda Guido
Mantega
E’ ora di
cambiare strada. Per riprendere il passo, il governo dovrà
assumersi la responsabilità di scelte impegnative, necessarie dal
punto di vista politico, complicate sotto l’aspetto economico e –
questo è il punto controverso – antipatiche sotto quello sociale. In
concreto, il dubbio amletico è: fare riforme per aumentare la
competitività dell’industria nazionale o favorirla attraverso misure
protezionistiche?
Restiamo in
attesa che Dilma decida cosa fare:la tentazione di rimandare
ogni decisione impopolare è forte. Ma senza una energica svolta la
stella del Sud rischia di spegnersi lentamente, archiviando un
decennio d’oro. Quello che è valso al Brasile un posto tra i nuovi
grandi del mondo.
max 09 july 012 - courtesy
by: economist - geopolitics - imf report
